L’addebito della separazione, residuato della vecchia “separazione per colpa”, è la domanda con la quale, in sede di separazione giudiziale, uno dei coniugi chiede al giudice di pronunciarsi sulla condotta dell’altro il quale avrebbe, a suo avviso, determinato la necessità della separazione. L’art. 151, comma 2 c.c. dispone infatti che
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio
La dichiarazione di addebito è pertanto l’accertamento giudiziale che la separazione è imputabile a uno o a entrambi i coniugi per la violazione dei doveri inerenti al matrimonio.
Innanzitutto bisogna dire che l’addebito può esservi solo in caso di inosservanza dolosa o colposa dei doveri matrimoniali. Ciò sta a significare che debba esservi stata un’inosservanza di tipo intenzionale o derivata da negligenza nel non osservare l’impegno normalmente richiesto all’interno della coppia.
Oltre a tale elemento, ciò che viene richiesto ai fini della pronuncia di addebitabilità della separazione è che sussista un nesso tra il detto comportamento, contrario ai doveri coniugali, e l’intollerabilità della prosecuzione della vita matrimoniale. Ciò significa che non sarà sufficiente, ai fini dell’addebito, che vi sia stato solo un comportamento contrario ai doveri coniugali ex art. 143 c.c., ma sarà necessario da parte del giudice verificare, e da parte del coniuge richiedente l’addebito provare, che proprio a causa di quella violazione si è determinata l’intollerabilità della convivenza. In caso di mancato raggiungimento della prova del comportamento e del nesso, si dovrà pronunciare la separazione senza addebito. La valutazione del giudice ai fini dell’addebitabilità della separazione è di natura discrezionale, dovendo egli svolgere un’indagine globale sui comportamenti tenuti dai coniugi nonché sulla comparazione dei comportamenti di entrambi.
La più nota circostanza per cui si ricorre alla richiesta di addebito della separazione è l’infedeltà coniugale.
La Suprema Corte (Cass. 14/02/2012 n. 2059; Cass. 14/10/2010 n. 21245) ha interpretato l’infedeltà coniugale come una violazione particolarmente grave che, qualora provata, è da intendersi per il giudicante quale circostanza che già di per sé determina l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Da ciò ne deriva che l’infedeltà coniugale è da considerarsi come condizione sufficiente a giustificare l’addebito della separazione in capo al coniuge responsabile.
Ma allora ci si potrebbe chiedere se, in caso di tradimento, si giunga sempre in automatico a dichiarare l’addebitabilità della separazione. Non è proprio così e vediamo perché.
Se infatti in generale il coniuge richiedente l’addebito deve provare sia il comportamento (doloso o colposo) dell’altro di violazione dei doveri coniugali sia l’efficacia causale di tale comportamento a determinare ex se l’intollerabilità della convivenza; in caso di infedeltà coniugale il comportamento fedifrago fa presumere, in quanto tale, che questo già di per sé abbia reso intollerabile la convivenza, alleggerendo così di molto l’onere probatorio a carico del richiedente, tuttavia però non è così semplice giungere poi alla dichiarazione di addebito.
Infatti la dichiarazione di addebitabilità della separazione non ricorre tutte quelle volte in cui viene provato che la crisi coniugale era già irrimediabilmente in atto e la comunione materiale e spirituale tra i coniugi era di già venuta meno per altre e diverse cause antecedenti alla stessa (App. Trento 29/03/2007; Cass. 20/04/2011 n. 9074; Cass. 11/12/2013 n. 27730). Altresì non potrà richiedere l’addebito il coniuge che, una volta trascorso del tempo, nonostante la relazione extraconiugale instaurata dall’altro, sia venuto a conoscenza di tale circostanza ed abbia accettato tale relazione e perdonato l’infedeltà; si badi che l’elemento fondamentale in questa circostanza non è tanto il trascorrere del tempo ma la c.d. riappacificazione successiva alla scoperta.
Ma cosa accade una volta che viene dichiarato l’addebito della separazione?
Il coniuge nei cui confronti viene dichiarato l’addebito della separazione
- perde il diritto all’assegno di mantenimento;
- perde i diritti successori nei confronti dell’altro coniuge.
Come si propone la domanda di addebito?
La domanda di addebito della separazione deve essere contenuta, a pena di inammissibilità, nel ricorso introduttivo per il ricorrente e nella comparsa di costituzione nel giudizio di merito per il resistente.
La domanda di addebito è una domanda autonoma che, se non domandata ab origine, non può essere successivamente introdotta nel giudizio di separazione esorbitando dalla mera deduzione difensiva o semplice sviluppo logico della contesa instaurata con la domanda di separazione. Per il ricorrente, pertanto, è necessario che sia contenuta nel primo atto introduttivo del giudizio e cioè nel ricorso mentre, per la parte convenuta, nonostante nel tempo ci siano state varie interpretazioni giurisprudenziali e dottrinarie in punto, è maggioritaria la tesi che ritiene che il termine per la proposizione della domanda di addebito è la comparsa di costituzione nel merito, successiva alla fase presidenziale, essendo soggetta ai tempi e ai modi della riconvenzionale (Cass. 08/02/2006 n. 2818), e per così come anche argomentato dalla giurisprudenza di merito che, richiamando la giurisprudenza di legittimità, ne esplicita il ragionamento giuridico sotteso:
Tribunale di Novara, sent. n. 150 del 12/2/2010, Pres. Dr. B.Quatraro, Rel. Dr.ssa G.Pascale
La domanda di addebito è autonoma e, anche sotto l’aspetto procedimentale, non costituisce mera deduzione difensiva o semplice sviluppo logico della contesa instaurata con la domanda di separazione, bensì vera e propria domanda riconvenzionale ed è, quindi, soggetta alle decadenze stabilite dall’art. 167, co. 2, cpc (v. sul punto Cass. Civ., Sez. l, sentenze n. 2818 del 08/02/2006, e n. 25618 del 07 /12/2007). (…) il primo atto difensivo è costituito dalla comparsa di risposta depositata prima dell’udienza davanti al G.I.
Tale interpretazione si appalesa più rispettosa del testo dell’art. 706 cpc, come riformulato a seguito della riforma attuata con la l. 80/2005. La norma in esame, invero, prescrive che il convenuto, prima dell’udienza presidenziale, può depositare memoria, con ciò indicando non un onere, bensì una facoltà, alla quale, pertanto, non possono essere ricollegate decadenze di sorta. Viceversa, l’art. 709, co. 3, riconduce la costituzione in giudizio del convenuto ai sensi dell’art. 166 e 167 co. 1 e 3, richiamando pertanto espressamente anche le decadenze ivi previste, alla fase successiva a quella presidenziale, che si tiene davanti al G.I.
La domanda di addebito non dà diritto al risarcimento del danno nel giudizio di separazione.
Uno degli errori più comuni commessi, talvolta anche dagli stessi operatori del diritto, è ritenere che la richiesta di addebito della separazione comporti la possibilità di richiedere il risarcimento di un danno patito, sotto forma di un aumento dell’assegno di mantenimento, nel medesimo giudizio di separazione in cui è avanzata la domanda.
Ciò invero non è possibile.
Infatti, la richiesta di un importo quale conseguenza dell’addebito della separazione tra coniugi ha natura risarcitoria, svincolata da qualsivoglia concetto di assegno di mantenimento e, come tale, dipende in primis dalla prova dell’an (se) del danno e, come statuito dalla Corte di Cassazione (Sent. n. 18853/2011), tale
richiesta risarcitoria, anche qualora sia derivante dall’addebito della separazione dà luogo ad una autonoma azione in separato giudizio volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.
Quindi, azione risarcitoria autonoma, da svolgersi in separato giudizio, vista la diversità di rito che interessa le questioni strettamente connesse alla separazione.