Il contratto di assicurazione e le clausole di rivalsa.

Contratti di assicurazione RC auto e le clausole di rivalsa: vessatorie o non vessatorie? E' possibile escluderle? Esame alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione.

In un mondo veloce, dinamico e sempre in movimento, dove le scadenze e gli adempimenti si accumulano sarà capitato almeno una volta ad ognuno di noi di non leggere per intero ed attentamente quei lunghi contratti che ci vengono sottoposti da chi ci propone servizi (dalla tv a pagamento, ai conti correnti bancari o alle polizze assicurative). Purtroppo questa nostra superficialità, molto spesso, comporta dei costi e può provocare ingenti danni al nostro patrimonio.

Per quanto qui di nostro interesse parleremo dei contratti assicurativi e delle clausole in essi inserite che pochi di noi leggono e, ancor meno, conoscono e, nello specifico, delle clausole di rivalsa.

Le assicurazioni private: il contratto di assicurazione.

La definizione di contratto di assicurazione è sancito dall’art. 1882 c.c. che lo qualifica come

il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro (assicurazione contro i danni), ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (assicurazione sulla vita)”.

Quello che emerge dalle disposizioni del Codice Civile è, dunque, l’immagine di un contratto tipico, cioè previsto e normato dal Legislatore; consensuale, che si perfeziona con il consenso delle parti; ad effetti obbligatori, quindi fonte di sole obbligazioni, ognuna delle parti assume una obbligazione nei confronti dell’altra; sinallagmatico, con prestazioni corrispettive (al pagamento del premio corrisponde la copertura assicurativa); ed aleatorio, l’evento da cui deriverà l’obbligazione del contraente-assicurazione è meramente possibile ma non certa.

Ebbene, la recente evoluzione sia contrattualistica che di interpretazione giurisprudenziale che ha investito il settore assicurativo ha determinato non poche novità e conseguenze. Si può rilevare come questo sia divenuto uno dei settori economici in cui appare manifesta la posizione di preminenza negoziale del predisponente (assicurazione) rispetto all’aderente (assicurato). Quest’ultimo, nella stragrande maggioranza dei casi, aderisce ad un modulo contrattuale predisposto in via unilaterale da un’impresa esercente l’attività assicurativa (c.d. tipologia di contratto di adesione), esponendosi al rischio di trovarsi dinanzi a condizioni di polizza squilibrate e/o comunque non ben vagliate al momento della sottoscrizione.
Se da un lato si tratta di una scelta “tecnica”, dettata dalle generali esigenze di omogeneità, e quindi di efficienza dell’attività di impresa, dall’altra, conseguentemente, riduce la possibilità di negoziare il contenuto del contratto.
Infatti, stante la mancata contrattazione fra le parti, talvolta possono sussistere i presupposti per individuare profili di vessatorietà delle clausole insite in questo tipo di contratto.

Le clausole vessatorie.

La disciplina delle clausole vessatorie è statuita sia nel codice civile sia in quello del consumo (d.lgs. 206/05). Presupposto comune è la sussistenza di un effettivo squilibrio dei diritti e degli obblighi tra le parti derivanti dal contratto.

Quanto previsto dagli artt. 1469-bis e ss. del codice civile, oggi artt. 33 e ss. del codice del consumo, si applica al ricorrere di due presupposti:

  1. che le clausole abusive siano contenute in contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore e,

  2. che le stesse non abbiano formato oggetto di negoziato individuale.

Al fine di eliminare eventuali squilibri, gravanti sul consumatore, quale parte economicamente più debole, le clausole considerate vessatorie, ex artt. 33 e 34 del Codice del Consumo, sono sanzionate con la nullità, mentre il contratto rimane valido per il resto.

Ma come si fa a capire se una clausola sia effettivamente vessatoria o non sia puramente una clausola che chiarisce e definisce il contenuto del contratto?

Non è cosa semplice, tanto che sul punto vi sono stati più interventi della giurisprudenza di legittimità, la quale ha dato definizioni univoche a fattispecie che, a prima vista, sarebbero potute sembrare differenti. A tale scopo è materia spesso ricorrente e che può esserci di utile esempio quella delle “clausole di rivalsa“. Infatti, quasi tutti i contratti assicurativi per la Responsabilità Civile Auto – RCA prevedono le ipotesi di rivalsa da parte dell’Assicuratore nei confronti del proprio assicurato in determinate circostanze, salvo che non siano state espressamente escluse in sede di stipula contrattuale con un pagamento del premio maggiorato.

Le clausole di rivalsa.

Prima di procedere, vediamo l’art. 144 c. 2 del codice delle assicurazioni che così statuisce:

“per l’intero massimale di polizza l’impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al risarcimento del danno. L’impresa di assicurazione ha tuttavia diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”.

Il che significa che pur sussistendo l’obbligo di copertura assicurativa nei confronti del terzo danneggiato, l’impresa, in determinate ipotesi, potrà agire nei confronti del proprio assicurato, al fine di ottenere il rimborso di quanto versato al danneggiato a titolo di risarcimento.

Ma quali sono le ipotesi di rivalsa?

Le ipotesi più frequenti, inserite nei contratti assicurativi ai fini di delimitare l’oggetto della copertura assicurativa e quindi consentire all’Assicurazione, che abbia dovuto risarcire il terzo danneggiato, di rivalersi nei confronti del proprio assicurato, sono:

  • mancata revisione;

  • patente scaduta;

  • guida in stato di ebbrezza;

  • guida sotto effetto di sostanze stupefacenti.

Queste sono solo alcune delle ipotesi, le più frequenti, ma tutte configuranti violazioni di norme di legge. Le rivalse sono sempre previste laddove l’assicurazione sia stata obbligata a versare un risarcimento ad un terzo danneggiato coinvolto in un sinistro stradale nel quale l’assicurato versava in una delle condizioni configuranti le ipotesi di rivalsa, indipendentemente che la specifica condizioni sia stata causa del sinistro.

Orbene, il principale aspetto di criticità della disciplina riguarda la circostanza SE tale clausola di rivalsa possa considerarsi vessatoria, e pertanto debba soggiacere a tutte le prescrizioni previste dal codice del Consumo, oppure no.

 

La NON vessatorietà delle clausole di rivalsa.

La Corte di Cassazione, con orientamento ormai consolidato, ha escluso che possa ritenersi vessatoria la clausola di una polizza assicurativa che preveda l’esercizio del diritto di rivalsa dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato che abbia tenuto una condotta di guida censurabile al momento del sinistro.

Tale orientamento, cristallizzato con la pronuncia della Suprema Corte, sent. n. 11373 del 24 maggio 2011, distingue le clausole limitative della responsabilità, da quelle clausole che, invece, delimitano il rischio garantito; precisando in proposito che mentre appartengono al primo tipo le clausole che limitano le conseguenze della colpa e dell’inadempimento o escludono il rischio garantito, sono da considerare appartenenti al secondo tipo le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa, specificando il rischio garantito.

In virtù di tale distinguo è stata esclusa la vessatorietà delle clausole di rivalsa dal momento che

“le stesse delimita[no] l’oggetto del contratto di assicurazione e non po[ssono] considerarsi limitative di responsabilità”.

Si potrebbe obiettare che, molto spesso, viene richiesta all’assicurato la doppia sottoscrizione di dette clausole contenute nelle Condizioni Generali di Assicurazione – CGA ma, come di recente rimarcato dalla Suprema Corte, è circostanza ormai pacifica che, la sussistenza di una doppia sottoscrizione da parte dell’assicurato, non implica di per sé che una determinata clausola sia vessatoria.

La sottoscrizione non è altro che

un elemento esterno all’atto[…] non può certo valere, da solo, a far ritenere il carattere vessatorio della clausola [di rivalsa]”.

Quindi nessuna possibilità per l’assicurato?

No, in realtà vi è più di una possibilità per l’assicurato che non intenda incorrere nel rischio di vedersi chiedere dalla propria Compagnia assicurativa la somma versata in favore del terzo danneggiato con cui l’assicurato abbia avuto un incidente, magari mentre guidava in stato di ebbrezza o aveva dimenticato di effettuare la revisione.

In primis, appare chiaro che bisogna sempre leggere molto bene ed attentamente le Condizioni Generali di Assicurazione e tenere una condotta di guida rispettosa della legge sia per quanto riguarda il conducente, sia per quanto riguarda l’auto posta in circolazione – a tal proposito si ricorda che, di norma, il proprietario del veicolo è coobbligato in solido con il conducente. In secondo luogo, si può optare per la “esclusione delle clausole di rivalsa”.

Non tutte le Compagnie assicurative prevedono tale possibilità, tuttavia eseguendo un efficace scouting è possibile ricercare la polizza più confacente alle proprie necessità e stipularla con la previsione di tale clausola di esclusione; ovviamente a fronte di un pagamento del premio molto più elevato rispetto alla media, visto che la vostra assicurazione si impegnerà a non rivalersi su di voi per la vostra guida “fuori legge”.

Clausola di esclusione della rivalsa.

Atteso quanto precede, che la clausola di rivalsa di per sé non è da considerarsi vessatoria, non può sottacersi un altro aspetto di rilievo, da ravvisare nella trasparenza delle clausole contrattuali, ossia l’obbligo per il predisponente, di redigere formulazioni chiare e non ambigue nel contenuto delle polizze assicurative.

Infatti può accadere che, pur stipulando un contratto assicurativo RCA con esclusione delle clausole di rivalsa, queste permangano solo per alcune ipotesi specifiche; quindi non vi sarebbe una vera e propria esclusione ma una sorta di “riduzione” delle ipotesi.

Per cui, da un lato l’assicurato ritiene di non correre nessun rischio di rivalsa nonostante possa mantenere una guida “non corretta” mentre, al contrario, permane, seppur in modo limitato, il diritto di rivalsa della propria compagnia assicuratrice.

La posizione della Cassazione sulla interpretazione delle clausole contrattuali.

Orbene, su tale punto si può fare riferimento ad una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. n. 18324/19) proprio inerente una questione molto dibattuta circa le clausole che le compagnie assicurative inseriscono nei contratti.

In questa sede il Giudice di legittimità ha respinto il ricorso promosso da una nota Compagnia di assicurazioni confermando la decisione della Corte d’Appello di Genova, che a sua volte aveva già rigettato la richiesta di rivalsa per oltre 320 mila euro nei confronti dell’assicurato, in seguito al risarcimento danni erogato al terzo danneggiato in conseguenza di sinistro stradale.

Alla base dell’iniziativa della compagnia, vi era proprio una clausola nel contratto RCA che prevedeva, appunto, il diritto di rivalsa in caso di guida sotto l’effetto di alcool.

Il Giudice di secondo grado rigettava la domanda dal momento che l’assicurato aveva precedentemente sottoscritto un modulo predisposto dalla compagnia con la previsione di una copertura massima, in cui rientrava la rinuncia della stessa all’azione di rivalsa. Pertanto il contraente non poteva poi vedersi eccepire “una clausola predisposta unilateralmente dalla compagnia escludente il diritto di rivalsa in caso di ebbrezza dell’assicurato”.

Lungi dall’essere una sentenza ricognitiva di vessatorietà delle clausole di rivalsa, come da alcuni erroneamente sostenuto, la pronuncia in commento inerisce ai canoni ermeneutici di cui deve far uso il Giudice nell’interpretazione del contratto e della corretta valutazione delle clausole contrattuali volute dalle parti in sede di stipula.

Infatti, ad avviso della Cassazione, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei canoni di interpretazione del contratto,

laddove ha evidenziato una equivocità delle clausole di polizza che, da un lato, garantivano al consumatore la copertura più ampia possibile, dall’altro, nel solo ambito delle clausole predisposte unilateralmente dalla compagnia e sottoscritte per adesione dal consumatore, prevedevano, creando una evidente difficoltà di comprensione in chi faceva affidamento su quanto contenuto nella singola polizza, limitazioni alla rinuncia alla rivalsa, non individuabili da una persona comune pur utilizzando la normale diligenza”.

Proprio perché, prosegue la sentenza della Suprema Corte, il complesso delle clausole era “ambiguo e polisenso sulla base di criteri meramente letterali o logico-sistematici”, la Corte d’Appello ha correttamente fatto ricorso al principio di diritto “contra stipulatorem”, “ritenendo che vi fosse un evidente affidamento da tutelare in capo al contraente più debole contro un risultato interpretativo evidentemente ambiguo delle clausole stesse”.

La conclusione.

Da ciò, si può quindi concludere che, non si pone questione circa la continuità data ad un indirizzo già precedentemente espresso nelle sentenze della Corte di Cassazione, sia in ordine alla sentenza sopra citata n. 11373/2011 di non vessatorietà ex se delle clausole di rivalsa contenute nei contratti assicurativi, nonché alle sentenze  n. 866/2008 in ordine ai principi ermeneutici dei contratti secondo cui

le clausole di polizza, che delimitano il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall’assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall’art. 1370 c.c. e pertanto nel dubbio devono essere intese in senso sfavorevole all’assicuratore medesimo

e Cass. n. 668/2016 ad avviso del quale di fronte a clausole polisenso, il giudice

“non può attribuire uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.”

Alla luce di quanto sopra, si evince chiaramente come il Giudice di Legittimità pur non ignorando la giurisprudenza che esclude la natura vessatoria delle clausole delimitative dell’oggetto del contratto, ha ritenuto preminente la non contraddittorietà, la conoscenza nonché la conoscibilità del contratto di assicurazione mediante la redazione chiara e comprensibile dello stesso, in virtù dell’uberrima bona fides, che caratterizza il rapporto assicurativo.

Sul punto, si rileva come la trasparenza delle condizioni contrattuali è uno strumento fondamentale per addivenire a relazioni contrattuali più corrette. Solo attraverso la trasparenza è possibile il riequilibrio delle posizioni contrattuali. Essa costituisce il mezzo per attenuare le asimmetrie conoscitive tra i protagonisti del contratto e dà al consumatore la giusta consapevolezza in ordine all’operazione economica da concludere.

Avv. Emanuele Mambrini – Dott.ssa Erika Rinaldi

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