Nell’attuale formulazione, l’art. 33 comma 5 della Legge n. 104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) così recita: ““Il lavoratore di cui al comma 3 (ovvero, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, n.d.r.) ha diritto a scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
Secondo l’insegnamento della consolidata giurisprudenza costituzionale, con la n. 104/1992 il legislatore ha preso in particolare considerazione l’esigenza di favorire la socializzazione del soggetto disabile, in attuazione del principio (cfr. Corte Cost. n. 215/1987) secondo il quale la socializzazione in tutte le sue modalità esplicative è un fondamentale fattore di sviluppo della personalità ed un idoneo strumento di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica (cfr. Corte Cost. n. 350/2003 n. 467/2002, n. 167/1999).
In questo quadro, è stato altresì posto l’accento sul ruolo fondamentale della famiglia “nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap” (cfr. Corte Cost. n. 203/2013, n. 329/2011).
Una tutela piena dei soggetti deboli – e, in particolare dei portatori di handicap gravi – richiede, oltre alle necessarie prestazioni sanitarie e di riabilitazione, anche la cura, l’inserimento sociale e, soprattutto, la continuità delle relazioni costitutive della personalità umana (cfr. Corte Cost., sentenza n. 203 cit.).
A ciò aggiungasi che l’art. 33 comma 5 della richiamata Legge n. 104/1992 va interpretato alla luce non solo dei principi costituzionali, ma anche alla stregua dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata dall’Italia con la Legge n. 18/2009 e dall’Unione Europea con decisione 2010/48/CE – ossia in funzione della tutela della persona disabile (ex multis, Ordinanza Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 7120 del 22/03/2018).
Il diritto del familiare lavoratore del disabile di scegliere la sede più vicina al domicilio di quest’ultimo e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non è assoluto o illimitato, ma presuppone, oltre gli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, anche la compatibilità con l’interesse dell’impresa. Secondo il legislatore – come è dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove possibile” – il diritto alla effettiva tutela della persona disabile non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro.
Incombe sul datore di lavoro l’onere di dimostrare in modo specifico e puntuale quali siano le concrete ragioni che rendano impossibile l’assegnazione ad una sede più vicina.
In altre parole, il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, disciplinato dall’art. 33, comma quinto, Legge n. 104/1992, può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro, “gravando sulla parte datoriale, privata o pubblica, l’onere della prova di siffatte circostanze ostative all’esercizio dell’anzidetto diritto“ .(Cass. SS.UU. n. 7945/2008).
Nel necessario bilanciamento di interessi e di diritti del lavoratore e del datore di lavoro, aventi ciascuno copertura costituzionale, devono essere valorizzate le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore, occorrendo salvaguardare condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita (così Cass. Civ. n. 24015/2017).
Del resto, la sopra citata Convenzione ONU del 13/12/2006, pienamente efficace ed operativa nel nostro ordinamento (cfr. Cass. n. 7889/2011) stabilisce che (cfr. art. 2, quarto comma) si devono porre in essere gli “accomodamenti ragionevoli” per favorire le persone disabili, intendendosi per tali le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo da adottare, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone disabili, nelle diverse situazioni, il godimento e l’esercizio di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali su base di uguaglianza con gli altri.
La suindicata Convenzione è finalizzata ad assicurare ed a garantire alle persone disabili un più adeguato livello di vita e di protezione sociale, in tutti gli ambiti (cfr. Cass. n. 25379/2016).